Con Monica non ci siamo mai incontrate di persona ma è la prima donna che mi è venuta in mente quando ho pensato a queste interviste.
Durante il primo lock-down ha accolto con molta disponibilità la mia idea di una “baby-sitter in sospeso” e ci ha aiutato a renderla possibile.
Romana, laureata in Economia delle professioni sanitarie, è la fondatrice de “Le Cicogne”, un portale, e anche un'applicazione, che mette in contatto domanda e offerta nel mondo delle baby sitter.
Inserita nella Forbes 100 under 30, e nella top 100 Italian female entrepreneur.
Tutte abbiamo fatto le baby sitter, ma solo a te è venuto in mente di creare Le Cicogne, come ci sei riuscita? Come sei arrivata a questa idea?
Ammetto che inizialmente credevo di essere l’unica ad aver avuto quest’idea, ma solo con il tempo e parlando con tante ragazze e ragazzi come me che facevano i baby-sitter ho scoperto che in molti ci avevano pensato, ma poi non erano riusciti a realizzarlo, per diversi motivi, chi tempo, chi denaro, chi poca perseveranza, chi poco ottimismo, chi altre priorità e così via. Ho quindi capito che molti ci avevano già provato ed avere successo non sarebbe stato facile, bisognava metterci tutta me stessa per riuscire e così ho fatto. L’idea è arrivata dalla mia personale necessità di trovare lavoro come baby-sitter e vedere che mancava su internet un canale unico e di fiducia dove le famiglie potessero incontrare le risorse che cercavano: con o senza esperienza, più o meno vicine, automunite o meno, e così via.
Quando hai capito che il tuo progetto avrebbe potuto funzionare? Quale è stato l'ostacolo principale?
Ho capito che il progetto poteva funzionare quando io ho smesso di fomentare la domanda ed offerta e questa cresceva in autonomia in maniera esponenziale. L’ostacolo principale era la mia inesperienza e quindi ho iniziato a cercare corsi, soci per creare una strategia per il successo de Le Cicogne.
Ho partecipato al corso InnovAction Lab, ho trovato due socie ed insieme abbiamo iniziato il programma di accelerazione presso LUISS ENLABS con un micro investimento di 50 mila euro. Con questi fondi e questi soci abbiamo costituito la società nel 2013 e dato inizio ad un’avventura imprenditoriale.
Sei entrata nella top100 under30 forbes italia, top100 italian female entrepreneur hai incontrato Mark Zuckeberg, sei nelle interviste de Le Scarpe di Marta, qual è il prossimo step?
Mi ritengo molto fortunata, tutti loro mi hanno contattata per comunicarmi l’inserimento in queste liste e ne sono onorata. Ammetto che gli sforzi e le fatiche di questi anni sono stati tantissimi e sapere che “da fuori” qualcuno li ha notati e considerati onorevoli di tali categorie, mi rende solo che orgogliosa ed ha confermato quello che pensavo essere solo nella mia testa: che stavo facendo la cosa giusta.
Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere una strada simile alla tua.
Di non iniziare una startup perché si vuole fare l’imprenditore o perché “è fico”, ma solo e soltanto se si è in grado di risolvere un problema per gli altri. Se con la propria esperienza, conoscenza e/o capacità si ha quel quid (= qualcosa) che gli altri non hanno e che risolve un problema di molti. Di non guardare quindi cosa va di moda o di creare prodotti o servizi che si pensa che gli altri vogliano avere, ma di creare prodotti o servizi che servono a sé stessi e che si è in grado di risolvere anche per gli altri.
Il nostro motto è scarpe easy per vite felici...il tuo?
Do it with the seriousness of a playing child!
(Fallo con la serietà di un bambino che gioca).
Una cosa che non ti ho chiesto a cui avresti sempre voluto rispondere.
Dove vedo Le Cicogne fra n anni… Il mio sogno per Le Cicogne è che diventi l’Airbnb delle babysitter, in tutto il mondo. Far sì che le persone associno noi come primo brand/servizio per l’assistenza familiare e che sia associato all’idea di affidabilità, precisione e legalità.
Foto Elena Mancini
Ho conosciuto Ornella grazie ai nostri amici comuni Officine Gualandi.
E' una delle poche persone che da quando ho iniziato a seguirla su IG non ho più smesso. E' magnetica, riesce a essere interessante sempre.
Sarà che una ne pensa e cento ne fa....o forse è il contrario o forse 100 ne pensa e 100 ne fa.. tant'è che anche chi la segue da più tempo non riesce a spiegare esattamente cosa fa!
Stilista e illustratrice, creatrice di un brand di t-shirt, Docente di varie ed eventuali, Scrittice (“Mamma che buono”), consulente e businness strategy (Gonnamake.it) Co-founder di network per professionisti digitali,(collhub) Content Creator, pubblicitaria. E in ultimo co-creatrice di qualcosa che non c'era. (Huuno.me)
Di sicuro sappiamo solo che ogni volta che parla di qualcosa quel qualcosa va sold out!
Probabilmente definirla non è proprio ciò che dovremmo fare!
Dici spesso “creatività = esercizio e organizzazione”...ma dove l'hai imparato? Chi te l'ha detto?
Mi piace ripeterlo perché spesso si ritiene che la creatività sia una specie di dote innata, che appartiene a pochi e che ha un’utilità limitata ai settori creativi. Chi pensa di esserne sprovvisto probabilmente non l’ha mai esercitata, oppure la esercita inconsapevolmente, e non ne conosce il grandissimo potenziale. Essere creativi per esempio vuol dire anche trovare più facilmente le soluzioni a problemi di ogni tipo, avere senso dell’umorismo, essere più flessibili. Tutte cose utilissime nella vita!
Mi sono appassionata alla teoria della comunicazione, ai presupposti della creatività e al pensiero laterale durante l’università e non ho più smesso di studiare. I miei riferimenti sono Roman Jakobson, Paul Watzlawick, Gregory Bateson, Edward De Bono. Ma anche Tullio del Mauro, Munari, Rodari. Sono anche una persona molto analitica quindi io stessa sono oggetto di studio da parte di me stessa!
Cos'è Huuno e come si fa a creare qualcosa che non c'era?!
Huuno è la startup tecnologica che ho fondato insieme a mio marito. Abbiamo creato prima di tutto un’app che analizza gli insight dei content creator in modo molto più avanzato e profondo rispetto ad altri strumenti di analytics. A cosa serve? Serve ai creator per capire meglio che impatto hanno sui follower i contenuti che producono. Serve ai brand e alle agenzie per trovare influencer con numeri interessanti, ma soprattutto capaci di coinvolgere davvero le persone.
È nata da un bisogno reale, come ogni buona idea credo. Sono stanca di vedere progetti affidati a influencer con numeri vuoti, perché per capire se un creator funziona bisogna seguirlo personalmente e per molto tempo. Non c’è il tempo di farlo in agenzia, e nessuno strumento di analisi è intelligente e sensibile quanto un essere umano. Nessuno, prima di Huuno
Come fai a trovare sempre qualcosa da dire e raccontare per le collaborazioni con i brand? Ma anche come fai a saper usare (o imparare) tutti gli strumenti che usi per realizzare i tuoi contenuti?
Cosa posso dire è la prima cosa a cui penso quando un brand mi contatta per propormi una collaborazione. Il prodotto deve sempre incastrarsi molto bene nella mia vita, se mi dà l’opportunità di creare un contenuto interessante e utile per gli altri, ancora meglio. Il secondo aspetto che valuto è la creatività: che forma dò al mio messaggio? A volte le idee mi vengono appena leggo il brief e le visualizzo immediatamente, altre volte è necessaria una ricerca più lunga. Come in tutti i processi creativi, è una scommessa e richiede sempre un apprendimento. Nel tempo ho migliorato le mie capacità di utilizzo degli strumenti di lavoro facendo tantissima pratica. Mi piace imparare a fare qualcosa di nuovo a ogni collaborazione.
Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere una strada simile alla tua (quale? Sei peggio di un navigatore satellitare!)
Nell’ultimo periodo ho capito tante cose del mio percorso, che non è stato certo lineare e che è persino difficile da spiegare. Per tanto tempo, ho considerato questa mancanza di focus in una direzione univoca come un difetto. Mi sono sentita spesso inadeguata, diversa, non classificabile. Oggi ho finalmente capito che questa varietà è una grande ricchezza: è quello che mi permette di avere una visione d’insieme, di guardare e comprendere più aspetti del mio lavoro. Il mio consiglio, per chi in qualche modo si sente simile a me, è “abbraccia la varietà.”
Ci insegnano che dobbiamo trovare un’unica cosa che sappiamo fare, quella che ci rende felici e che ci dà sostentamento. Ma non è così.
Va bene avere più di un perché nella vita.
Il nostro motto è scarpe easy per vite felici...il tuo?
I sentieri si aprono camminando.
Una cosa che non ti ho chiesto a cui avresti sempre voluto rispondere
Se potessi trascorrere un giorno con un artista del passato chi sarebbe?
Amerei canticchiare con John Lennon.
Foto Elena Mancini
]]>Se questo non fosse abbastanza, è stata anche la nostra prima modella.
]]>Conosco Giuliana da ben 20 anni. Ci siamo conosciute sotto la pioggia lavando un pentolone in un lavatoio costruito da noi stesse. Eravamo ad un campo scout.
Amicizia (nata in una situazione discutibile) a parte, è tra le ragazze più brillanti che io conosca.
Laureata in psicologia con il massimo dei voti, inizia il tirocinio di rito in un'associazione che si prende cura dei piccolissimi affetti da autismo.
In poco tempo diventa Coordinatore e Supervisore Clinico di un nuovo progetto di Istituto ReTe.
(ReTe è un istituto di Neuropsichiatria Infantile che si occupa di Formazione e Divulgazione scientifica inerente disturbi del neurosviluppo. Nel 2019 ReTe ha avviato un importante progetto in collaborazione con l’Opera Don Guanella di Roma, dedicato ai disturbi dello spettro autistico. La partnership ha l’obiettivo di offrire terapie intensive basate su evidenze scientifiche in regime convenzionato garantendo in questo modo, alle famiglie e ai piccoli pazienti, un servizio di ottima qualità a costo zero.)
Unico difetto, a volte non ride alle mie battute.
Ma se questa presentazione non vi sembra abbastanza, vi dico solo che è stata anche la nostra prima modella!!
Come sei arrivata a essere il coordinatore e supervisore di un progetto ambizioso a soli 34 anni?
Dopo un percorso di studi quinquennale in Psicologia dello Sviluppo, un master universitario di II Livello un tirocinio di un anno e seguente lavoro come terapista in un centro prima e domiciliare poi.
Successivamente mi hanno chiamato per Supervisionare la parte Clinica di un centro per l’autismo, attività che ho svolto per quattro anni e dopo ancora mi hanno chiamato per iniziare questo nuovo grande progetto, in convenzione con la Asl, con il ruolo di Supervisore Clinico e coordinatore delle attività.
Mi sono dedicata a questi lavori con sincera passione, impegnandomi ad imparare sempre di più per farli al meglio e avendo il coraggio di rispondere “Si!” alle varie occasioni che mi si sono presentate, anche in momenti della vita particolarmente faticosi.
E’ un lavoro complesso e stimolante, mi mette di fronte ai miei limiti e mi costringe ad accettarli. E’ un lavoro basato sulla relazione sulla pianificazione e sulla capacità organizzativa….insomma, mi piace!!!
Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere una strada simile alla tua.
Studiare, fare tanta esperienza sul campo e saper interloquire con chi la pensa in maniera diversa dalla propria.
Una cosa che non ti ho chiesto a cui avresti sempre voluto rispondere?
Perchè non rido alle tue battute? ;-)
Foto Elena Mancini
]]>
Il profilo di Nora mi è capitato sotto gli occhi per caso, ma ha delle foto così belle che è inevitabile iniziare a seguirla!
Un giorno, dopo aver riso a una sua storia (in direct) lei mi scrive....”ma non si riesce a fare qualcosa insieme?” Io non ci volevo credere perché era esattamente quello che avrei voluto scriverle io ma non avevo ancora trovato il coraggio!
Nora non fa solo foto bellissime, ma ha un blog dove parla di design!
L'idea che c'è dietro il nome del suo blog è un bellissimo sunto di come lei vive la casa e il suo lavoro da architetto.
Ci eravamo lasciate davanti ad un caffè prima del covid e finalmente ci ri-incontriamo!
Sul blog hai scritto che fare architettura in modo tradizionale non ti bastava più, cosa intendi? “Design outfit”, raccontaci come hai scelto questo nome.
Se una studia architettura in Italia (o forse anche negli altri paesi europei, davvero non so), viene su bene, nel senso che impara a memoria elenchi di architetture del passato e del presente e magari si cimenta nella progettazione di musei, scuole o anche semplici abitazioni.
La giovane laureata in architettura, come ero io a luglio 2003, abbandona però l’università senza aver messo piede in un cantiere neanche per sbaglio.
Questo fa sì che, la prima volta che quel piede in cantiere ci entra, non sa davvero come comportarsi. Si impara a fare l’architetto, poi, inciampando in uno sbaglio dopo l’altro e infine, un bel giorno, arriva quell’attimo in cui tutto sembra filare liscio e le risposte da dare alle imprese in cantiere vengono su fluide, spontanee, pronunciate dalla bocca di qualcuna che, finalmente, sa.
Ecco, se si potesse studiare architettura in un modo meno tradizionale di questo, forse questa fluidità arriverebbe prima.
Per me il rapporto con la realtà del cantiere, con la concretezza dei suoi colori, dei suoi odori e anche della sua polvere è qualcosa di inscindibile dal mio lavoro. Lo amo, non ci rinuncerei per nulla al mondo. Così come non rinuncerei mai, quando vengo chiamata per un progetto, a immedesimarmici.
Prima di mettere mano alla matita e farla scorrere sulla carta, faccio un po’ mie le emozioni e i desideri delle persone che mi chiamano, ad esempio, per progettare la loro casa.
Per ciascuna persona c’è una casa esattamente a propria misura. Design outfit, il nome del blog, è l’accoppiata di parole che racconta questa mia idea di progetto sartoriale, ogni volta diverso e perfetto per chi lo abiterà e lo vivrà.
Hai un blog con tutte le tendenze, dove studi? Come ti informi?
Prima di tutto riconosco di essere curiosa a un livello che sfiora la malattia.
Sono lì che scorro distrattamente il feed di instagram, mi capita davanti l’immagine di una sedia, una piastrella, un tavolo o un vaso che ha quel qualcosa che mi colpisce e da lì, inevitabilmente, scattano minuti su minuti di ricerche approfondite sul come-cosa-perché.
Sullo smartphone ho cartelle di immagini di queste curiosità da architetto e interior designer: sono tutte meticolosamente ordinate e spesso ci attingo le idee per i miei progetti. Il mio posto preferito dove studiare, però, sono le fiere di settore.
Durante la pandemia la mia sofferenza più grande è stata non poter trascorrere la mia solita due giorni di metà ottobre a Eindhoven, alla scoperta di quel design indipendente, innovativo e anche un po’ provocatorio che solo i nordeuropei hanno il coraggio di tirare fuori con una naturalezza invidiabile. E mi è mancata Maison et Objet a Parigi, la Stockholm Furniture & Light Fair e… tutte le fiere mi sono mancate!
Toccare con mano le novità, scoprire come le aziende e i designer le immaginano ambientate e sentirle raccontare in diretta genera in me creatività e suggestione immediata, da spendere subito in nuovi progetti.
É più difficile progettare casa per sé o per gli altri?
Marta, qui capisco che il racconto social della ristrutturazione del mio appartamento, organizzato in millemila puntate di instagram stories, forse ti ha fatto venire il dubbio che, per una che fa l’architetto, progettare la propria casa sia una specie di prova delle prove.
Lo confermo, un vero inferno.
Progettare casa per gli altri è più facile perché, per quanto ci si immerga nella realtà dell’altro, facendola propria almeno un po’, non è possibile provare la profondità del sentimento che lega ciascuno alla propria casa.
Quello è un legame speciale, personalissimo, unico.
Già mi sento molto fortunata a poterlo esplorare almeno un po’, ogni volta che metto mano a un nuovo progetto. Sono felice che questo faccia parte del mio lavoro.
Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere una strada simile alla tua
Non far mai sparire la curiosità e la voglia di imparare! E questo non lo dico io, ma lo diceva Achille Castiglioni.
Va bene, insomma, tutta la preparazione di base che l’università dà, anche se in quel modo un po’ vecchiotto che dicevo prima. Ma la laurea non è che il punto di partenza di un percorso lungo cui non è possibile evitare molte, moltissime difficoltà. Cercare la loro soluzione, tecnica e anche ispirazionale, vuol dire imparare.
Una cosa che è mancata alla mia formazione, e che consiglierei a chi decide di occuparsi soprattutto di interior design, è di affiancare alla laurea tradizionale un corso specialistico.
Conoscere i rapporti dimensionali dello spazio che fanno stare bene le persone quando compiono determinate azioni, mettere insieme in modo armonico colori e materiali e saper scegliere una strada invece che un’altra… ecco, questo è molto importante.
Il nostro motto è scarpe easy per vite felici...il tuo?
Vale se dico che non lo so? Oppure posso rubare il vostro motto trasformandolo un po’: case easy per vite felici.
Se immagino di abbinare un paio di scarpe di Marta a una casa delle mie, studiata su misura, vedo entrambe le cose comode, easy, al passo delle nostre vite di ogni giorno, normali e speciali allo stesso tempo, nel loro piccolo.
E, Marta, volevo dirti che le tue scarpe mi piacciono così tanto proprio perché aggiungono quel tocco speciale a una semplicità che è eleganza, linearità, bellezza.
Ti corrispondono, e questo l’ho capito subito quel giorno in cui ci siamo viste per il nostro caffè. Grazie.
Una cosa che non ti ho chiesto a cui avresti sempre voluto rispondere
Mi sarebbe piaciuto se mi avessi chiesto se oggi, mentre rispondo alle tue domande, sono felice. Sì, lo sono.
E di questa felicità fa parte il mio lavoro e, anche, quel tuo paio di scarpe con i lacci a contrasto con cui ti ho tormentato, che aspetta anche domani di essere indossato, con leggerezza.
Foto di Elena Mancini
]]>
Donata aiuta le storie a incontrare le persone e fa diventare umani i dati.
Ha risposto a qualche domanda sul suo lavoro.
]]>Ho “conosciuto” Donata in una sua passeggiata per Rione Monti, sarà che io ero incinta e lei aveva un Filippo appena nato in fascia, sarà che ho capito che era una romana da poco, ma mi ha incuriosito e ho iniziato a seguirla su IG.
A quel punto ha iniziato a incuriosirmi anche ciò di cui parlava e il modo in cui lo faceva.
Donata sui suoi social parla di comunicazione (soprattutto no profit e sociale). Ha una “strana” fissazione per l'attivismo e per le cause sui diritti umani (#cipassalafame) e ancora più assurdo, una vera passione per i dati. Founder e preside della dataninja school rende accessibile la lettura dei dati anche ai meno avvezzi.
PS fa anche un altra cosa che per me non sta né in cielo né in terra....corre.. addirittura maratone!
Ovviamente non in questi giorni dove è alle prese con un altra faccenda impegnativa, la seconda gravidanza 😊
Come ti è venuto in mente di mettere in relazione i dati con le persone? Numeri e persone sembrano molto distanti.
Credo sia stata proprio la mia passione per lo sport e gli allenamenti fatti per preparare le maratone: i dati che producevo mi raccontavano cose di me che non avrei mai “scoperto” se non avessi guardato quei numeri.
Per esempio, che potevo superare la paura della fatica dei duri allenamenti perché in effetti i miei dati confermavano che ero brava sulle lunghe distanze, o i test fatti in palestra col mio allenatore dimostravano che potevo andare oltre la mia velocità “su strada”. A volte basarsi solo sulle “sensazioni” è limitante.
Poi, ovviamente, galeotta è stata anche Giorgia Lupi, information designer italiana che si è fatta portavoce del data humanism, l’umanesimo dei dati, svelando come ogni nostra azione, pensiero, attività possa essere osservato sotto la lente quantitativa e questo approccio non ne riduce la poesia e l’umanità.
Cercate e fatevi ispirare dal suo Dear Data, 52 cartoline disegnate a mano, insieme alla designer Stephanie Posavec, con cui ha scambiato una fitta corrispondenza basata sui dati per un anno intero.
Sei la fondatrice di Dataninja School: secondo te c'è una relazione tra pregiudizi e incapacità di comprensione dei dati?
Posso capire i dati e comunque avere pregiudizi nell’usarli e citarli: si chiama cherry picking, letteralmente “scegliere le ciliegie migliori”, e ci caschiamo tutti. Soprattutto quando vogliamo raccontare qualcosa di cui siamo molto appassionati e convinti andremo a cercare aneddoti, esperienze e dati che confermano la nostra tesi.
Se c’è qualcosa che potrebbe metterla in dubbio...li evitiamo, così come lasceremmo nel piatto le ciliegie che non ci attirano troppo.
Comprendere i dati però ci aiuta a svelare e scoprire questi escamotage quando sono usati da altri, e mi sembra una competenza fondamentale in democrazia.
Ultimamente in Italia si parla tanto di opendata, secondo te come mai non si riesce ad avere dati trasparenti?
Guarda magari la trasparenza c’è. Nel senso che l’Italia regolamenta per legge i dati aperti (dati pubblici in formato riutilizzabile che possono essere scaricati, analizzati e sfruttati per libero scopo, anche commerciale), ci sono tanti cataloghi pubblici con dataset pronti da usare, ma non è un sistema che viene applicato di default per tutti i settori o in tutte le situazioni, come per esempio quella della pandemia.
Secondo me sarebbe utile avere sempre più persone consapevoli dei propri diritti su questo, in modo che possano fare pressione sulla politica perché la trasparenza non sia solo una “vetrina” in cui racconto sui social o con un report in pdf cosa sto facendo con i soldi pubblici, ma un vero processo partecipato dove cittadini e cittadine siano consapevoli di ogni “riga di dati” che li riguarda.
Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere una strada simile alla tua.
Appassionarsi a un angolo particolare del tema dei dati e studiarlo in ogni forma, guardare video, leggere libri, stalkerare persone che se ne occupano e farvi aiutare ad approfondirlo. Non spaventarsi della complessità o della fatica, come nella maratona.
Il nostro motto è scarpe easy per vite felici...il tuo?
Great stories happen to people that can tell them, che è una citazione del conduttore radiofonico statunitense Ira Glass: grandi storie capitano alle persone che sanno raccontarle.
Mi piace comunicare e raccontare tutto quello che faccio per coinvolgere gli altri, se scopro una cosa che mi appassiona non riesco a tenerla per me.
Questo è il motivo per cui ho sempre trovato lavoro e clienti, e perché anche con i dati ho convinto persone molto refrattarie a iniziare a studiarli: ti travolgo con l’entusiasmo, non puoi scappare.
Una cosa che non ti ho chiesto a cui avresti sempre voluto rispondere.
“Come abbinare scarpe rosa a una maglia giall…” no scherzo. Sono molto grata tu non mi abbia chiesto niente di scarpe o vestiti, sono anche molto grata che tu faccia scarpe così belle: la mia pigrizia da shopping è tale che una volta trovata una marca che mi piace io compro TUTTO il catalogo. Se poi è 1) imprenditoria femminile 2) sostenibile, e vabbè, fedele a vita.
Ah, ecco la domanda! “Donata, occuparsi di dati è femminista?” Sì, perché i dati possono essere utili ad abbattere la piramide sistemica delle oppressioni, se li usiamo per riconoscere i privilegi e mostrare situazioni di ingiustizie invisibili. Grazie per avermelo fatto dire!
]]>