Nora Santonastaso


Il profilo di Nora mi è capitato sotto gli occhi per caso, ma ha delle foto così belle che è inevitabile iniziare a seguirla!

Un giorno, dopo aver riso a una sua storia (in direct) lei mi scrive....”ma non si riesce a fare qualcosa insieme?” Io non ci volevo credere perché era esattamente quello che avrei voluto scriverle io ma non avevo ancora trovato il coraggio!

Nora non fa solo foto bellissime, ma ha un blog dove parla di design!

L'idea che c'è dietro il nome del suo blog è un bellissimo sunto di come lei vive la casa e il suo lavoro da architetto.

Ci eravamo lasciate davanti ad un caffè prima del covid e finalmente ci ri-incontriamo!

     

Sul blog hai scritto che fare architettura in modo tradizionale non ti bastava più, cosa intendi? “Design outfit”, raccontaci come hai scelto questo nome.

Se una studia architettura in Italia (o forse anche negli altri paesi europei, davvero non so), viene su bene, nel senso che impara a memoria elenchi di architetture del passato e del presente e magari si cimenta nella progettazione di musei, scuole o anche semplici abitazioni.

La giovane laureata in architettura, come ero io a luglio 2003, abbandona però l’università senza aver messo piede in un cantiere neanche per sbaglio.

Questo fa sì che, la prima volta che quel piede in cantiere ci entra, non sa davvero come comportarsi. Si impara a fare l’architetto, poi, inciampando in uno sbaglio dopo l’altro e infine, un bel giorno, arriva quell’attimo in cui tutto sembra filare liscio e le risposte da dare alle imprese in cantiere vengono su fluide, spontanee, pronunciate dalla bocca di qualcuna che, finalmente, sa.

Ecco, se si potesse studiare architettura in un modo meno tradizionale di questo, forse questa fluidità arriverebbe prima.

Per me il rapporto con la realtà del cantiere, con la concretezza dei suoi colori, dei suoi odori e anche della sua polvere è qualcosa di inscindibile dal mio lavoro. Lo amo, non ci rinuncerei per nulla al mondo. Così come non rinuncerei mai, quando vengo chiamata per un progetto, a immedesimarmici.

Prima di mettere mano alla matita e farla scorrere sulla carta, faccio un po’ mie le emozioni e i desideri delle persone che mi chiamano, ad esempio, per progettare la loro casa.

Per ciascuna persona c’è una casa esattamente a propria misura. Design outfit, il nome del blog, è l’accoppiata di parole che racconta questa mia idea di progetto sartoriale, ogni volta diverso e perfetto per chi lo abiterà e lo vivrà.

 

Hai un blog con tutte le tendenze, dove studi? Come ti informi?

 

Prima di tutto riconosco di essere curiosa a un livello che sfiora la malattia.

Sono lì che scorro distrattamente il feed di instagram, mi capita davanti l’immagine di una sedia, una piastrella, un tavolo o un vaso che ha quel qualcosa che mi colpisce e da lì, inevitabilmente, scattano minuti su minuti di ricerche approfondite sul come-cosa-perché.

Sullo smartphone ho cartelle di immagini di queste curiosità da architetto e interior designer: sono tutte meticolosamente ordinate e spesso ci attingo le idee per i miei progetti. Il mio posto preferito dove studiare, però, sono le fiere di settore.

Durante la pandemia la mia sofferenza più grande è stata non poter trascorrere la mia solita due giorni di metà ottobre a Eindhoven, alla scoperta di quel design indipendente, innovativo e anche un po’ provocatorio che solo i nordeuropei hanno il coraggio di tirare fuori con una naturalezza invidiabile. E mi è mancata Maison et Objet a Parigi, la Stockholm Furniture & Light Fair e… tutte le fiere mi sono mancate!

Toccare con mano le novità, scoprire come le aziende e i designer le immaginano ambientate e sentirle raccontare in diretta genera in me creatività e suggestione immediata, da spendere subito in nuovi progetti.

     

É più difficile progettare casa per sé o per gli altri?

 

Marta, qui capisco che il racconto social della ristrutturazione del mio appartamento, organizzato in millemila puntate di instagram stories, forse ti ha fatto venire il dubbio che, per una che fa l’architetto, progettare la propria casa sia una specie di prova delle prove.

Lo confermo, un vero inferno.

Progettare casa per gli altri è più facile perché, per quanto ci si immerga nella realtà dell’altro, facendola propria almeno un po’, non è possibile provare la profondità del sentimento che lega ciascuno alla propria casa.

Quello è un legame speciale, personalissimo, unico.

Già mi sento molto fortunata a poterlo esplorare almeno un po’, ogni volta che metto mano a un nuovo progetto. Sono felice che questo faccia parte del mio lavoro.

 

Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere una strada simile alla tua

 

Non far mai sparire la curiosità e la voglia di imparare! E questo non lo dico io, ma lo diceva Achille Castiglioni.

Va bene, insomma, tutta la preparazione di base che l’università dà, anche se in quel modo un po’ vecchiotto che dicevo prima. Ma la laurea non è che il punto di partenza di un percorso lungo cui non è possibile evitare molte, moltissime difficoltà. Cercare la loro soluzione, tecnica e anche ispirazionale, vuol dire imparare.

Una cosa che è mancata alla mia formazione, e che consiglierei a chi decide di occuparsi soprattutto di interior design, è di affiancare alla laurea tradizionale un corso specialistico.

Conoscere i rapporti dimensionali dello spazio che fanno stare bene le persone quando compiono determinate azioni, mettere insieme in modo armonico colori e materiali e saper scegliere una strada invece che un’altra… ecco, questo è molto importante.

 

Il nostro motto è scarpe easy per vite felici...il tuo?

 

Vale se dico che non lo so? Oppure posso rubare il vostro motto trasformandolo un po’: case easy per vite felici.

Se immagino di abbinare un paio di scarpe di Marta a una casa delle mie, studiata su misura, vedo entrambe le cose comode, easy, al passo delle nostre vite di ogni giorno, normali e speciali allo stesso tempo, nel loro piccolo.

E, Marta, volevo dirti che le tue scarpe mi piacciono così tanto proprio perché aggiungono quel tocco speciale a una semplicità che è eleganza, linearità, bellezza.

Ti corrispondono, e questo l’ho capito subito quel giorno in cui ci siamo viste per il nostro caffè. Grazie.

Una cosa che non ti ho chiesto a cui avresti sempre voluto rispondere

 

Mi sarebbe piaciuto se mi avessi chiesto se oggi, mentre rispondo alle tue domande, sono felice. Sì, lo sono.

E di questa felicità fa parte il mio lavoro e, anche, quel tuo paio di scarpe con i lacci a contrasto con cui ti ho tormentato, che aspetta anche domani di essere indossato, con leggerezza.

 

 

 Foto di Elena Mancini

 

 

 


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